(Trascritto dall’articolo). Introduzione. Lo Scompenso cardiaco (SC) è una sindrome clinica a carattere cronico ed evolutivo che impatta notevolmente sugli outcomes clinici e psicologici (come ansia e depressione) dei pazienti di cui sono affetti. Tuttavia, le evidenze empiriche internazionali riconoscono che i comportamenti di self care attuati dai pazienti con SC possono influenzare il loro decorso clinico. Inoltre, sembra che ansia e depressione vissute dai pazienti con SC possano influenzare negativamente i loro comportamenti di self care messi in atto. Tuttavia, la letteratura presenta aspetti contrastanti e la relazione fra outcomes psicologici e self care è ancora poco esaustiva. Approfondire tale aspetto potrebbe aiutare a comprendere, prevenire e gestire ciò che potrebbe comportare livelli spesso inadeguati di self care dei nostri pazienti e quindi poter garantire l’erogazione di cure personalizzate. Pertanto, l’obiettivo primario di questo studio è: (a) descrivere i livelli di ansia e depressione dei pazienti italiani affetti da SC e (b) evidenziarne le relazioni fra i loro comportamenti di self care attuati. Materiali e metodi. Il disegno dello studio è osservazionale, trasversale, monocentrico e correlazionale. I pazienti con SC sono stati arruolati con campionamento di convenienza presso un ospedale cardiologico del Nord Italia fra gennaio e settembre 2018. La raccolta dati è stata effettuata tramite la somministrazione di un questionario socio-demografico e clinico (es., età, genere, FE (Frazione di eiezione), BMI (Body mass index), classe NYHA (New York heart association), eziologia e comorbilità), il Self care of heart failure index (SCHFI) per identificare il livello di self care attuato e Hospital anxiety and depression scale (HADS) al fine di misurare ansia e depressione. Risultati. Lo studio ha preso in considerazione un campione di 102 pazienti di nazionalità italiana e principalmente di genere maschile (62,7%) con età media di 68,9 anni (± 15,21). L’eziologia dello scompenso cardiaco è principalmente di natura ischemica (40%) con prevalenza di classe NYHA II (61,8%) con FE conservata (43.2%). Inoltre, il campione presenta BMI medio di 27,11 ± 4,81 con 7 anni di malattia (± 7,75). L’analisi delle frequenze dei livelli di self care ha fatto emergere dati allarmati: adeguati livelli di Self care Manteinance (>70) sono attuati solo dal8,8% (=9) del campione e il 15,9% (n=7) attua adeguati livelli di Self care Management (>70). Dalla somministrazione e analisi del questionario HADS (Hospital Anxiety and Depression Scale) è risultato, dal campione di riferimento, che la media di ansia è 8,37 (DS = ± 15,46) e 7,14 (DS = ± 24,87) di depressione. Le analisi bivariate fra depressione e le tre componenti del Self care presentano correlazioni statisticamente significative (negative) solamente nei domini del Management e della Confidence [Il Self care Management (r = - 0,41; P < 0,001); Il Self care Confidence (r = -0,385; P < 0,001)]. Tuttavia, correlazioni statisticamente significative fra ansia e self care non sono presenti e ciò porta ad affermare che la presenza di ansia nei pazienti con SC non rappresenta un fattore prognostico negativo nell’attuazione di comportamenti di self care. Conclusioni. I risultati di questo studio contengono aspetti innovativi che potrebbero avere numerose ricadute sulla pratica clinica assistenziale per aiutare i professionisti sanitari a sviluppare una cura personalizzata in risposta alle peculiarità di genere dei pazienti con SC. Tuttavia, gli autori suggeriscono prudenza nella generalizzabilità dei risultati, in quanto studio monocentrico. Future ricerche serviranno a chiarire questi aspetti del self care nei pazienti con SC.
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