Progetto realizzato e curato dall’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Roma |
Lissa Giuseppe. Dal rifiuto dell’intolleranza all’umanesimo dell’altro uomo. Bioetica 2018;25(1):11–48.
Added by: Antonella Punziano (28/08/2019 08:22:38) |
Tipo di Risorsa: Articolo di Rivista Chiave di citazione BibTeX: Lissa2018 Invia la risorsa per email ad un amico |
Categorie: Etica, Filosofia Sottocategorie: Epistemologia, Principi etici, Solidarietà Autori: Lissa Collezione: Bioetica |
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Allegati |
Abstract |
(Trascritto dall’articolo). Per costruire la bioetica è necessario verificare, prima, se l’etica è qualcosa di utile per la maggioranza degli uomini o se non è per essi qualcosa di derisorio. Questa domanda si impone a noi irresistibilmente sullo sfondo dei tempi moderni, tempi dell’affermazione dell’individuo, del soggetto che non ritrova più, come accadeva nel medioevo, in Dio il proprio centro e cerca nella sua interiorità il fondamento di sé stesso. Identificandosi nell’opera di Spinoza, come conatus essendi questo individuo appare interessato solo a persistere e ad espandersi nell’essere, incurante dei conflitti che è destinato a provocare con gli altri uomini impegnati anch’essi nello sforzo di continuare ad esistere e a espandersi nell’essere, L’essere si prospetta dunque come un campo in cui si affronta. Su questo sfondo l’etica appare come qualcosa di marginale e ineffettuale. Si tratta dell’epoca moderna che è l’epoca delle esclusioni e delle intolleranze. I conflitti che vi si sviluppano vanno a tessere con i fili di ferro della politica la tela di cui è costituita. La politica come continuazione della guerra con altri mezzi esta la potenza dominante anche dell’epoca contemporanea, l’epoca della democrazia, che, a causa della sia perenne fragilità può smarrirsi e fin troppo spesso di smarrisce sui sentieri interrotti dell’esperienza totalitaria, madre di omicidi e di distruzioni di massa. L’esperienza totalitaria segna il fallimento di un umanesimo che basato sulla volontà di potenza dell’individuo si configura perciò come un umanesimo della superbia, della tracotanza e dell’intolleranza. Per questo, sulla scia di Lévinas, occorre convertire questo umanismo della superbia in umanismo dell’altro uomo che consenta di riprodurre con forza, in questo nostro sfortunato tempo di smarrimenti, di egoismi e di violenza contro tutti quelli che ci appaiono diversi, una delle massime più irrinunciabili di quello che appare sempre più come il più autentico maestro morale del nostro tempo: Immanuel Kant: “tratta l’altro uomo sempre come fine e mai come mezzo”. |